Le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD) sono caratterizzate da sintomi “visibili”, come dolore addominale, diarrea cronica talvolta difficile da controllare e fatigue (affaticamento generalizzato). Le ripercussioni di queste manifestazioni a livello fisico e psichico sono significative, soprattutto in considerazione dell’imprevedibilità del decorso delle IBD.1
Per esempio, spesso i pazienti esprimono preoccupazione rispetto al loro livello di energia, alla capacità di realizzare pienamente il proprio potenziale (nello studio, nel lavoro, nelle relazioni ecc.) e al fatto di poter essere “un peso” per gli altri.1
Non di rado, questi sentimenti negativi sono accompagnati dalla sensazione di essere screditati e non capiti e dalla frustrazione per la cronicità della propria condizione. Inoltre, i pazienti possono sentirsi in imbarazzo a causa dei sintomi delle IBD e cercano di modificare la propria vita sociale per nascondere gli aspetti più “critici” della malattia agli altri, nel timore di essere giudicati male.1
Per tutte queste ragioni, le persone affette da IBD sono esposte a un elevato rischio di sperimentare uno stigma correlato alla malattia. 1
Lo stigma è un potente processo sociale nel quale una persona viene “bollata” con attributi negativi e stereotipi che portano a discriminarla e a comprometterne il ruolo e lo status sociale. Lo stigma correlato alla malattia può essere definito come l’esclusione sociale di una persona o un gruppo di persone affette da una particolare malattia conseguente a un ingiustificato giudizio sociale negativo/ostile. 2
Lo stigma è un fenomeno complesso, associato a una molteplicità di ripercussioni negative per la salute di chi ne è vittima, e può manifestarsi in tre “forme” differenti1,2:
Ogni forma di stigma ha un impatto negativo sulla qualità di vita di chi lo subisce2, tuttavia, alcuni pazienti possono sviluppare atteggiamenti adattativi che generano una “resistenza allo stigma” dagli effetti “protettivi”. 3
Lo stigma correlato alla malattia può avere innumerevoli ripercussioni negative per chi lo subisce, potendo limitare l’accesso alle cure, aumentare la non-aderenza ai trattamenti, aggravare lo stress psicologico, ridurre l’autostima e dare la sensazione di non essere in grado di gestire le situazioni, nonché promuovere il peggioramento dei sintomi fisici della malattia di cui si soffre. 3
Il semplice fatto di sentirsi stigmatizzati dagli altri è sufficiente a ridurre il benessere dei pazienti. 3
È stato osservato che lo stress percepito, l’umore negativo e gli eventi stressanti della vita sono spesso associati a riacutizzazioni delle IBD. Individuare i fattori psicologici correlati all’attività di malattia è importante poiché questi aspetti potrebbero indurre gli altri a ritenere che i sintomi delle IBD dipendano dall’incapacità dei pazienti di gestire lo stress e/o di adottare un atteggiamento psicologico positivo3, determinando, quindi, ulteriore stigma.
Lo stigma internalizzato può avere implicazioni particolarmente sfavorevoli perché induce il paziente a credere che gli atteggiamenti e i giudizi negativi degli altri siano corretti, anziché rigettarli, con l’effetto di amplificare la sofferenza psicologica e promuovere il ritiro sociale. 3
Uno studio ha indicato che circa un paziente con IBD su tre è interessato da stigma internalizzato e ritiro sociale, ma generalmente in forma lieve. 3
Lo stigma internalizzato nei pazienti con IBD si associa a una ridotta qualità della vita correlata alla malattia, ridotta autostima, e aumento dello stress psicologico. 3
D’altro canto, se individuato e affrontato precocemente, lo stigma internalizzato potrebbe essere la forma di stigma più facilmente modificabile attraverso la terapia cognitivo-comportamentale. 3
Uno studio ha evidenziato che circa l’84% dei pazienti con IBD riporta un certo grado di stigma percepito e diversi studi hanno indicato che chi soffre di IBD, spesso, è preoccupato di come viene visto dagli altri, sentendosi “diverso”, vergognandosi della propria condizione e sentendosi screditato, anche dal personale sanitario3 (che dovrebbe, invece, assisterlo e supportarlo).
In particolare, la fatigue (molto comune tra le persone con IBD) viene vista negativamente a livello sociale e poco capita anche dai medici. 3
I pazienti più anziani (in particolare, le donne e quelli interessati da colite ulcerosa) tendono a riportare un maggiore stigma percepito, così come le persone con IBD con un minore livello di istruzione. 3
Dal momento che la presenza delle IBD può essere “nascosta”, il tema della comunicazione della malattia da parte dei pazienti assume una grande rilevanza. In molti casi, i pazienti scelgono di non informare gli altri della propria condizione a causa dell’imbarazzo per i sintomi che comporta3, ma anche del senso di colpa generato dalla possibilità di essere un peso per gli altri e dello stoicismo nell’affrontare la malattia da soli. 3
La mancata comunicazione, tuttavia, ha implicazioni negative per il paziente perché si associa a una ridotta interazione e relazione con gli altri, aumentando senso di isolamento e depressione. Al contrario, informare gli altri che si soffre di IBD può avere il risvolto positivo di alleviare lo stress psicosociale correlato alla malattia e di ridurre lo stigma. 3
Le esperienze dei pazienti su questo fronte sono molto variabili3 e possono prevedere approcci comunicativi diversi, comprese la comunicazione spontanea e quella protettiva. 1
La comunicazione “protettiva” è un processo pianificato attraverso il quale il paziente con IBD decide che cosa, come e quando informare gli altri dei diversi aspetti della propria condizione e a chi riservare le confidenze. Viceversa, la comunicazione “spontanea” è per sua natura imprevedibile e spesso deriva da incontri/scontri di natura emotiva. 1
Ci sono anche situazioni nelle quali i pazienti decidono di comunicare una forma di IBD “invisibile” (ossia non associata a manifestazioni evidenti) in modo “preventivo”, allo scopo di evitare la diffusione di informazioni errate e/o di speculazioni inappropriate sul proprio stato di salute. 1
La comunicazione della malattia sul posto di lavoro presenta alcuni aspetti peculiari e atteggiamenti molto diversi a seconda del contesto. 3
Uno studio condotto nel 1992, per esempio, aveva indicato che il 37% dei pazienti con malattia di Crohn con un impiego non riteneva necessario che il datore di lavoro fosse informato della loro IBD e uno su tre propendeva per nasconderla attivamente. Inoltre, circa un paziente su quattro riteneva che soffrire di IBD limitasse le proprie prospettive di carriera, compreso il chiedere una promozione o sentirsela rifiutare. Viceversa, da un altro studio del 1988 era emerso che la maggioranza dei pazienti con IBD (81%) parlava della propria malattia sul posto di lavoro e che l’80% dei colleghi e il 77% dei datori di lavoro erano generalmente d’aiuto.3
Anche in ambito scolastico e universitario informare amici e insegnanti della IBD di cui si soffre può creare difficoltà ai pazienti. 3
D’altro canto, iniziare a parlare della propria malattia con poche persone di cui ci si fida particolarmente può aiutare a sentirsi meno isolati, senza esporsi troppo a reazioni ed esperienze negative, come prese in giro, rifiuto e stigmatizzazione. Questa modalità di comunicazione graduale può essere vantaggiosa soprattutto per i bambini in età scolare che corrono un rischio maggiore di essere bullizzati e hanno più bisogno di essere accettati dai coetanei, rispetto agli adulti.1
Un recente studio italiano che ha indagato le esperienze correlate allo stigma “emanato” sul lavoro e nelle relazioni sociali/affettive tra pazienti adulti con IBD (età media 39 anni) 2 ha rilevato che le amicizie con persone che hanno mostrato un comportamento stigmatizzante nei loro confronti sono quasi sempre finite. 2
Dal momento che le relazioni sociali sono fondamentali per la qualità di vita di chiunque, questa reazione allo stigma può danneggiare i pazienti con IBD, promuovendone l’isolamento. In aggiunta, in considerazione del legame bidirezionale tra salute mentale e fisica, il deterioramento delle relazioni sociali e del benessere psicoemotivo può avere ripercussioni negative anche sulle manifestazioni delle IBD, aumentandone i sintomi clinici. 2
Alcuni approcci già usati nel contesto delle malattie mentali potrebbero essere utili anche per ridurre lo stigma nei confronti dei pazienti con IBD. Per esempio, interventi di comunicazione/formazione del personale sanitario e del pubblico generale orientati a informare sulle cause delle IBD (che non riguardano lo stress o l’alimentazione, ma un’alterata risposta infiammatoria e immunitaria a livello intestinale), sui trattamenti disponibili e sulle esperienze di vita dei pazienti. 3
Queste azioni educative sembrano essere particolarmente efficaci e determinare effetti di più lunga durata quando vengono coinvolte nella comunicazione persone direttamente interessate da una IBD. Anche, la comunicazione mediatica e il coinvolgimento di associazioni di pazienti possono contribuire a ridurre lo stigma nei confronti di chi soffre di IBD. 3
C-ANPROM/IT/ENTY/0061
I dipendenti con una malattia cronica come l'IBD possono essere ostacolati nelle loro prestazioni lavorative e nell'occupazione. Leggi i consigli su come gestire la IBD al lavoro.
Le IBD – malattie infiammatorie croniche intestinali – causano sintomi che possono diventare invalidanti.
I sintomi delle IBD variano da persona a persona ma anche nel corso del tempo, possono attenuarsi per poi ricomparire in una fase successiva.