Gli additivi alimentari comprendono un ampio gruppo di sostanze naturali od ottenute per sintesi chimica, utilizzate per migliorare la qualità di un prodotto alimentare (colore, sapore, consistenza ecc.), aumentarne il periodo di conservazione, facilitarne il processo di produzione o arricchirlo di principi nutrizionali.1
Sulla base delle loro funzioni e proprietà, gli additivi alimentari possono essere classificati e suddivisi in sottogruppi, come conservanti, dolcificanti artificiali, coloranti, aromatizzanti, emulsionanti, stabilizzanti e addensanti ecc.1
L’impiego degli additivi alimentari è strettamente regolamentato dall’European Food Safety Agency (EFSA) in Europa e dalla Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti, a garanzia della loro sicurezza per la salute umana, quando assunti ai dosaggi mediamente presenti nella dieta.1, 2
Tuttavia, studi recenti hanno indicato che alcuni additivi alimentari autorizzati e attualmente in uso potrebbero avere effetti dannosi.1
Questi riscontri potrebbero, in parte, giustificare il maggior rischio di sviluppare o veder riacutizzare le malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, Inflammatory Bowel Disease) tra le persone che seguono una dieta di tipo occidentale, ricca di grassi saturi, proteine raffinate e cibi processati, nonché potenzialmente associata a una maggiore esposizione agli additivi alimentari.1
Ad oggi, i meccanismi all’origine delle IBD sono noti soltanto in parte. In generale, si ritiene che l’interazione tra fattori ambientali sfavorevoli e alterazioni della flora batterica intestinale (microbiota), in individui geneticamente predisposti, possa stimolare una risposta immunitaria anomala con conseguente insorgenza dell’infiammazione della mucosa dell’intestino.1
La dieta è ritenuta un fattore ambientale critico per la modulazione dell’equilibrio del microbiota intestinale e, quindi, in grado di giocare un ruolo di primo piano nella disregolazione immunitaria alla base delle IBD.1
I dati clinici e sperimentali indicano che le alterazioni del microbiota (disbiosi) e dei livelli di alcune sostanze prodotte dai batteri intestinali aumentano il rischio di sviluppare le IBD o la loro progressione.1
Benché i meccanismi con i quali gli additivi alimentari potrebbero essere coinvolti nelle IBD siano ancora incerti1, è stato ipotizzato che gli effetti pro-infiammatori di alcuni di questi composti possano essere mediati dal microbiota intestinale.1
Questa correlazione è stata verificata, in particolare, per gli emulsionanti. In modelli animali di colite, l’assunzione di questi additivi alimentari è risultata associata a disbiosi, riduzione dello strato di muco intestinale e a minori livelli di acidi grassi a catena corta (SCFA, Short Chain Fatty Acids, metaboliti batterici con azione protettiva sulla mucosa intestinale), con conseguente aumento del grado di infiammazione.1
Dal momento che gli additivi alimentari sono composti dotati di proprietà molto diverse tra loro1, anche i loro effetti sul microbiota intestinale e sul benessere dei pazienti con IBD possono essere differenti e non sempre necessariamente negativi.1
Sulla scorta dei dati disponibili, dolcificanti artificiali come acesulfame-K, sucralosio e saccarina potrebbero promuovere o esacerbare le IBD attraverso modificazioni della flora batterica intestinale e/o di alcune sostanze da essa prodotte, che ne aumentano il potenziale infiammatorio sulla mucosa.1
Al contrario, l’aspartame, pur essendo anch’esso un dolcificante artificiale, sembra essere un additivo alimentare “amico” dei pazienti con IBD perché arricchisce il microbiota intestinale di batteri produttori di SCFA protettivi.1
Anche dolcificanti ipocalorici del gruppo dei polialcoli, come eritritolo, xylitolo, mannitolo, e l’isomalto hanno dimostrato di esercitare effetti stabilizzanti sui batteri intestinali, proponendosi come additivi innocui per chi soffre di IBD.1
Per il lattitolo, dolcificante appartenente alla stessa categoria, sono stati evidenziati addirittura effetti prebiotici (ossia favorevoli per l’equilibro del microbiota), con conseguenti benefici in termini di protezione dalle disbiosi intestinali e di miglioramento dell’infiammazione, che lo rendono “accettabile” per i pazienti con IBD.1
Tra gli agenti di rivestimento e gli addensanti, maltodestrine diverse hanno mostrato la capacità di agire con molteplici meccanismi e in modo differente sulla flora batterica intestinale: in alcuni casi, promuovendo la crescita dei batteri protettivi e contrastando quelli dannosi; in altri casi, promuovendo microrganismi dannosi e l’infiammazione intestinale.1
Dati più preoccupanti per chi soffre di IBD riguardano gli emulsionanti e, in particolare, la carbossimetilcellulosa, il polisorbato 80 e il carragenano, spesso aggiunti a creme, gelati, prodotti da forno ecc. Gli studi condotti finora hanno indicato che questi composti sono in grado di distruggere la barriera intestinale e di promuovere l’infiammazione tipica della colite, attraverso l’alterazione della composizione e delle funzioni del microbiota.1
L’assunzione di carragenano da parte di pazienti con colite ulcerosa in remissione è, addirittura, risultata associata a un aumento delle riacutizzazioni, anche in questo caso ritenute conseguenti agli effetti destabilizzanti di questo emulsionante sulla flora batterica intestinale.1
Anche alcuni coloranti (a base azotata o con biossido di titanio, TiO2) e conservanti (come acido benzoico, benzoato di sodio, sorbato di potassio, nitriti e solfiti) potrebbero creare qualche problema a chi soffre di IBD, a causa della loro azione inibente la crescita dei batteri che compongono il microbiota intestinale e della conseguente promozione dell’infiammazione della mucosa.1
D’altro canto, per alcuni conservanti sono state ipotizzate anche azioni favorevoli, in considerazione della loro attività antinfiammatoria e antiossidante (anche se un eccesso di quest’ultima potrebbe danneggiare la barriera intestinale).1
Gli esperti concordano comunque sul fatto che, sia per i coloranti sia per i conservanti, è necessario condurre studi più approfonditi nell’uomo, prima di poter trarre conclusioni affidabili sull’opportunità o meno del loro impiego, soprattutto in pazienti già colpiti da IBD.1
Un composto antiossidante di origine naturale che sembra, invece, essere in grado di proteggere la mucosa dall’infiammazione e dal danno tissutale ed esercitare un ruolo favorevole sul microbiota intestinale, è l’estratto di rosmarino (Rosmarinus officinalis). Questo additivo potrebbe, quindi, essere adeguato per chi soffre di IBD.1
C-ANPROM/IT/ENTY/0062
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