Il valore dell’alimentazione è stato, finora, probabilmente sottostimato nella gestione delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD, Inflammatory Bowel Disease). Eppure, la dieta rappresenta uno dei principali fattori in grado di influenzare le caratteristiche della flora batterica intestinale (microbiota) e di contribuire all’insorgenza di sue alterazioni (disbiosi) quando è sbilanciata, con molteplici effetti negativi per la salute umana.1
In particolare, è stato osservato che le disbiosi sono in grado di indurre e sostenere l’infiammazione intestinale, nonché di promuovere l’accumulo di tessuto adiposo (grasso corporeo), a sua volta fonte di citochine pro-infiammatorie (sostanze mediatrici dell’infiammazione dell’intero organismo), e di grasso nel fegato, che contribuisce ad alterare la permeabilità intestinale, peggiorando ulteriormente la situazione.1
Anche se le informazioni su come l’alimentazione può influenzare le IBD sono ancora insufficienti e non permettono di trarre conclusioni definitive, gli studi degli ultimi anni hanno indicato che lo stile dietetico occidentale, ricco di grassi saturi, carni rosse e zuccheri raffinati e povero di fibre, frutta e verdura fresche, costituisce un possibile fattore di rischio per lo sviluppo delle IBD.2
Viceversa, la dieta Mediterranea, basata principalmente su frutta, verdura, cereali integrali, legumi, pesce e olio di oliva, potrebbe avere effetti favorevoli1,3, in considerazione della sua capacità di promuovere la crescita dei batteri intestinali “benefici” (come Bifidobacteria, Lattobacilli, Eubacteria, Bacteroides e Prevotella), in grado di supportare la funzionalità della barriera intestinale e di ridurre l’infiammazione.3
Il concetto di “dieta Mediterranea” fu introdotto per la prima volta dal fisiologo statunitense Ancel Benjamin Keys negli anni ’60 del Novecento, nell’ambito di uno studio epidemiologico che aveva evidenziato come le popolazioni residenti nel bacino del Mediterraneo fossero meno interessate da malattie cardiovascolari e tumori e avessero una minore mortalità, rispetto a quelle di Nord Europa e Stati Uniti. 2,3
Sulla base dei cibi principalmente consumati in questa area geografica, nel 2011, la Fondazione per la Dieta Mediterranea ha definito la “piramide alimentare mediterranea”, che prevede il consumo di: 3
a ogni pasto principale
ogni giorno
ogni settimana
Oltre a questi alimenti, la dieta Mediterranea prevede il consumo di vino ai pasti (preferibilmente rosso, in quanto più ricco di resveratrolo, dotato di attività antiossidante) e l’impiego di aglio, cipolla, erbe aromatiche e spezie per insaporire i cibi, usando meno sale.3
Numerosi studi e metanalisi hanno indicato che la dieta Mediterranea è in grado di ridurre lo stato infiammatorio generale dell’organismo e di migliorare la composizione e l’equilibrio del microbiota intestinale: due fattori risultati correlati a diverse patologie croniche.3
Inoltre, è stato evidenziato che la dieta Mediterranea aumenta la capacità antiossidante dell’organismo, proteggendo il DNA delle cellule dal danno ossidativo (che favorisce l’insorgenza di disfunzioni, infiammazione, alterazioni dei tessuti e tumori).3
Dello stile alimentare mediterraneo hanno dimostrato di beneficiare soprattutto le persone affette da malattie cardiovascolari e sindrome metabolica (condizione caratterizzata da sovrappeso/obesità, iperglicemia/diabete di tipo 2, eccesso di colesterolo e trigliceridi nel sangue), ma effetti protettivi sono stati riscontrati anche in altre patologie, come ipertensione, aterosclerosi, ictus cerebrale, diversi tipi di tumore, allergie, malattia di Parkinson e Alzheimer.3
A oggi, l’impatto della dieta Mediterranea sul decorso delle IBD è ancora poco chiaro3 e, come sottolineato dalle linee guida dell’European Society for Clinical Nutrition and metabolism (ESPEN), non esiste un regime alimentare che possa essere raccomandato allo scopo di promuovere la remissione nei pazienti con IBD in fase attiva.2,3
Tuttavia, le stesse linee guida raccomandano, a scopo preventivo, un regime alimentare ricco di frutta e verdura, acidi grassi essenziali omega-3 (contenuti soprattutto nel pesce azzurro) e omega-6 (presenti nell’olio di oliva, nei semi oleosi, nel germe di grano e nei legumi), risultato associato a un minor rischio di sviluppare colite ulcerosa e malattia di Crohn. 4
Dati a favore della dieta Mediterranea nei pazienti già affetti da IBD sono stati, comunque, forniti da diversi studi condotti in Italia, Grecia e Israele, che hanno evidenziato come una maggiore aderenza allo stile alimentare mediterraneo si associ a un miglioramento degli indici clinici e di laboratorio dell’attività di malattia, suggerendo un’azione antinfiammatoria a livello intestinale. 3
La dieta Mediterranea è ricca di fibre ed è probabilmente, almeno in parte, per questa ragione che i pazienti con IBD possono avere difficoltà a seguirla, specie durante le fasi attive di malattia. Tuttavia, potrebbero provare a considerarla come stile dietetico nelle fasi di remissione. 3
Alcune modifiche alla dieta Mediterranea classica possono facilitare il tentativo, partendo dal presupposto che i pazienti con IBD devono comunque sempre seguire un’alimentazione sana e bilanciata, compatibile con la tolleranza individuale ai vari cibi. 3
In particolare, chi soffre di IBD dovrebbe: 3
In aggiunta, le persone affette da colite ulcerosa o malattia di Crohn dovrebbero limitare il consumo di cibi industriali contenenti emulsionanti, addensanti, maltodestrine, dolcificanti artificiali, conservanti (in particolare, solfiti e biossido di titanio, TiO2), poiché alcuni di questi additivi alimentari sono risultati associati a un aumento della permeabilità intestinale e dei markers infiammatori. 3
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